domenica 14 marzo 2010

che vita da cani

"Mi chiamo Mastic des Feux mignons. Sono un setter inglese maschio, nato il 17 aprile 1994. Secondo la tradizione di famiglia, Lei mi ha ribattezzato con il nome di Joyce, in memoria di chi sapete voi. La casa e il parco sono il mio regno, così come la campagna intorno, popolata di mucche, cavalli e pecore (che rappresentano il mio incubo peggiore e, se avrete la bontà di continuare a leggere la mia storia, saprete il perché). Odio la caccia e sono per la convivenza pacifica delle specie, una sorta di paradiso terrestre dove ciascuno ha il suo posto, dal verme al bipede. È per questo che sono riuscito a non lasciarmi sopraffare dall'affollamento di cani e gatti che sono andati e venuti dalla casa in questi anni. Alla fine, però, io sono il Cane di casa, per anzianità. Un primato - quello del vecchio di casa - che condivido con il mio amico, il sarcastico e imperturbabile gatto Opium. Ma so per certo di non dover dividere con nessuno il cuore di Lei, che mi ama di un amore immenso così come io l'amo e l'amerò per sempre. Certo, amo molto anche le sue figlie, di cui sono stato il grosso peluche vivente, stritolato, impastato, abbracciato in una valanga di risate e grida festose. E amo anche lui, con la sua ruvida e trattenuta amicizia virile. Ma per Lei farei qualsiasi cosa e so che Lei farebbe altrettanto per me."
(Catherine Guillebaud, L'ultima carezza, Elliot)

Lo ammetto. Se c'è il faccione di un cane sulla copertina di un libro potete star certi che - fra tutti quelli presenti in libreria - questo di sicuro lo prendo in mano, e ne leggo la trama, come minimo. E' stato così anche per "L'ultima carezza", sulla quale facevano capolino gli occhi quasi lacrimosi e il tartufo rosso di un bel setter a chiazze altrettanto rosse. E in questo caso il risvolto di copertina è stato tanto convincente da spingermi a comprare il libro.

E' un racconto delicato, narrato in prima persona (!) da Joyce, un ormai vecchio setter inglese di quattordici anni, che - arrivato alla fine dei propri giorni - narra della sua vita come Cane di casa. La sua famiglia vive in una casa da favola, immersa in un grande parco, non troppo lontano da Parigi. Joyce non è l'unico animale a condividere l'esistenza con Lei, lui e le due sorelle, ormai cresciute: nel corso degli anni vi sono stati gatti - uno dei quali, l'altrettanto anziano Opium, è tuttora suo migliore amico - cagne, e cavalli. Una vita da gentiluomo (pardon, gentil-cane) di campagna, insomma, nella quale c'è stato un periodo difficile causato dalle pecore della fattoria vicina, ma che per il resto è stata sempre felice. Saggio e divertente, Joyce rivela tutto l'amore, la dedizione e la fedeltà che ha sempre portato ai suoi padroni (soprattutto a Lei).

Chi ha posseduto un cane sarà toccato da questa storia, e vi troverà molte scene vere e vissute. Non ci sono grandi avvenimenti, ma la semplice quotidianità dell'esistenza con un animale domestico, vista però con gli occhi del pelosone.
Dato il titolo, pensavo che alla fine della narrazione avrei pianto stile fontana, ma il finale è molto lieve. Non mi è successo come per il film "Io e Marley", dove - ero al cinema - ho singhiozzato come una deficiente per tutta la parte finale, ripensando a quando avevo vissuto scene simili con la mia povera Laika... e mentre me ne stavo quasi vergognando mi sono resa conto che anche molte altre persone in sala stavano tirando sù col naso e si stavano commuovendo come me.

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