martedì 28 dicembre 2010

una donna a berlino

Non conoscevo questo libro. Non ne avevo mai sentito parlare sino a quando non ne ho letto sul blog della Francy, che si riferiva all'edizione inglese. Ma ho scoperto che il libro è stato pubblicato anche in italiano (Einaudi, 2004), e sebbene al momento non sia disponibile a catalogo, sono riuscita a trovarlo abbastanza facilmente in biblioteca.
Il diario dell'anonima trentenne berlinese, steso nei giorni terribili fra il 20 aprile e il 22 giugno 1945, costituisce una delle rare testimonianze tedesche sugli ultimi drammatici mesi di guerra e sul crollo finale del nazismo. Pubblicato prima in inglese, negli Stati Uniti nel 1954 e in Inghilterra l'anno successivo, quindi tradotto in gran parte dell'Europa (nel 1957 si ebbe la traduzione italiana per Mondadori) e in Giappone, solo nel 1959 apparve in lingua originale, grazie a una piccola casa editrice svizzera. In Germania, come ricorda Enzensberger nell'introduzione scritta appositamente per questa nuova edizione italiana, il diario fu accolto con infastiditi silenzi quando non con vera e propria ostilità, tanto che l'autrice, una giovane giornalista, si oppose in seguito a ulteriori ripubblicazioni nel proprio paese, sin quando lei fosse stata in vita (l'autrice è morta nel 2001).
Le pagine del diario raccontavano infatti, senza alcun cedimento al vittimismo, il crollo improvviso di un'identità collettiva e il persistere, pur nel crollo, tanto di antichi pregiudizi quanto dei più recenti temi della propaganda nazista, primo fra tutti il sentimento antirusso.

Atroce. L'ho trovato atroce, ma nel senso che non riuscivo a staccarmi da queste pagine e ho finito di leggerle tutte in un giorno e mezzo. Un lucido e consapevole diario di due mesi di vita, di sopravvivenza a cavallo dell'occupazione di Berlino da parte dei russi vincitori. I giorni che noi italiani siamo abituati a pensare come quelli della "Liberazione", per i tedeschi sono stati vissuti diversamente. E dalle donne tedesche in particolare, anch'esse eterne vittime dei vincitori di una guerra.
Ciò che in tempo di pace viene giustamente considerato un crimine orrendo contro un'altra persona, in tempo di guerra viene quasi visto come "normale" diritto di un soldato vincitore. La donna appartenente alla popolazione vinta non è più vista come una persona ma come una cosa "di": la donna "del" nemico, la donna "del" vinto, la donna "del" perdente, e come tale trattata, come un oggetto di proprietà che adesso si può usare a proprio piacimento, vero e proprio bottino di guerra. Rispetto per un altro essere umano, kaputt!
L'autrice non si lamenta, registra appena le è possibile ciò che sta avvenendo, ma lo fa senza vittimismi, senza lamentarsi, senza sopportarlo passivamente. "Vomitare" su carta ciò che le succede serve per riuscire a lasciarselo alle spalle, per uscirne "sana" - per quanto ciò sia possibile.
Il suo livello culturale la porta anche a considerare e giudicare in maniera critica e distaccata le "relazioni" con l'altro sesso dei soldati e degli stessi ufficiali russi.
Un libro forte, che senza essere urlato né fragoroso ti dà un bel pugno nello stomaco...

venerdì 24 dicembre 2010

mercoledì 22 dicembre 2010

uova e libri

Oggi a Torino gli studenti che protestavano contro la riforma universitaria hanno lanciato uova contro la libreria Mondadori in centro. Vabbè che il gruppo editoriale è di proprietà di "quello là", ma mi sembra che questa casa editrice pubblichi (oggi come oggi) tutta una serie di autori abbastanza assortiti, non necessariamente soltanto ciò che è in linea col padrone (meno male!), e naturalmente la povera libreria vende volumi provenienti da tutte le varie case editrici in circolazione.
Sentire che proprio degli studenti tirano uova contro una libreria per me è terribile, davvero un'eresia! Brutta cosa...

martedì 21 dicembre 2010

regali riciclati

E' tradizione ormai consolidata da molti anni quella di ritrovarsi col vecchio gruppone degli amici per il Natale riciclone (o anche detto "dei poveri"). Nel corso degli anni i vari amici si sono - alcuni - disseminati in giro per l'Europa, per motivi di lavoro, oppure si sono - altri - sposati e sistemati, e adesso hanno bimbi piccoli al seguito.
Sino ad ora però si è sempre fatto il possibile per ripetere questa "tradizione", e anche quest'anno ce l'abbiamo fatta (anche se ovviamente il numero dei partecipanti non è più quello degli anni d'oro). E così anche ieri sera l'evento ha avuto luogo.

Si chiama Natale riciclone, o dei poveri, perché ciascuno dei partecipanti è tenuto a portare due regali: uno dev'essere qualcosa di riciclato e di cui ci si vuole liberare (e in questo filone ci sono coloro che cercano di portare cose il più kitsch/pacchiane possibili), l'altro invece dev'essere qualcosa che costa poco, obbligatoriamente meno di un euro e mezzo, ma che sia decente e utilizzabile.
Ogni oggettino viene contrassegnato con un numero, e poi mediante una pesca casuale di una seconda serie di numerelli di carta, ciascuno ottiene sia un riciclone sia un regalo da 1 euro e mezzo.

A fine serata, solitamente, votiamo una classifica del riciclone migliore... o peggiore (a seconda di come lo si vuole considerare). Quest'anno il podio se lo sono conteso quattro oggetti: una bottiglia di vetro contenente semini colorati, mais e fagioli; un vaso a forma di anfora; una tovaglietta del ristorante cinese e una lampadina con un topo in una vasca da bagno. Il vincitore è stato quest'ultimo ameno oggettino, che ho avuto l'indubbio piacere di aggiudicarmi. Proprio io, sì sì... ho avuto proprio fortuna :)

lunedì 13 dicembre 2010

un regno inaccessibile

Oggi sono passata alla Biblioteca Nazionale per prendere un libro in pausa pranzo. Tanto è a due passi dall'ufficio.
Accidenti, non mi ricordavo più che era una roba così allucinante. Lascia la borsa nell'armadietto, portando con te tutto quello che ti possono fregare, documenti, portafoglio, chiavi della macchina, cellulare... meno male che il cappotto ha due ampie tasche. Passa al bancone dove registrano la tua entrata (ecco, qui ricordo che dieci anni fa mi davano un foglietto, adesso non serve più, si sono evoluti). Vai al secondo piano alla sala di distribuzione, dove compili il mitico vecchio foglietto Mod. 18 dell'ormai inesistente "Ministero per i beni culturali e ambientali" (che da oltre 10 anni non si chiama più così) - ah, quanti ricordi, e quanti ne ho compilati quando stavo preparando la tesi - certe cose restano davvero immutabili nel tempo, come i papiri! XD
Poi aspetti in media un buon quarto d'ora prima che il tipo ti chiami e ti consegni il libro. Poi vai a un altro bancone e aspetti altri buoni cinque minuti prima che la tizia completi la procedura del prestito, mentre parla amabilmente dei fatti suoi con un altro collega. Ritorni al bancone dove il tipo ti ha consegnato il libro, anche perché dopo tanto tempo non ti ricordi più bene tutti i passaggi dei vari timbri e fogliettini, e magari negli anni hanno cambiato qualcosa, per cui domandi se lui deve ancora fare qualcosa, e infatti ti mette un timbro sul foglio di uscita che la signora del prestito ha inserito nel libro.
Felice per aver (presumibilmente) terminato la procedura, scendi e ti appresti a uscire, dirigendoti verso il gabbiotto dove hai lasciato la borsa, quando un'altra tipa in una guardiola ti urla dietro "signorina, deve passare in sala registrazione!", dove finalmente segnano che tu e il libro che hai preso in prestito state per uscire dall'edificio...
Misericordia! Mi ricordavo vagamente che la Biblioteca Nazionale e la Civica Centrale erano un insieme di regole e procedure barbose e macchinose, ma non ne avevo più un ricordo così preciso. Intanto tutta la mia pausa pranzo se n'è andata: quasi un'ora per prendere un semplice libro!

venerdì 10 dicembre 2010

sfogo di un'appiedata

Oggi sarebbe dovuto esserci uno sciopero nazionale dei trasporti pubblici, ma il ministro l'ha spostato a data da destinarsi.
Però a Torino l'hanno dovuto fare lo stesso. Noi siamo alternativi...
Non uno sciopero nazionale ma uno sciopero locale della GTT (Gruppo Torinese Trasporti) di quattro ore. E naturalmente sempre nelle solite ore in cui rompono le pive alla gente che deve tornare a casa dal lavoro. Ora, il discorso delle fasce orarie di garanzia qui a Torino non ce l'hanno assolutamente chiaro, perché TUTTE le sante volte che c'è sciopero, si tratti di otto come di quattro ore, 'sti qua continuano ad erogare il servizio soltanto in orari tipo dalle 12 alle 15, che vanno bene forse agli studenti, ma sicuramente non ai lavoratori. (E si badi bene che anche quest'estate, quando le scuole erano chiuse, in caso di sciopero la GTT ha sempre continuato a garantire solo 'sti orari assurdi).
Peccato che, in caso di sciopero nazionale, sui quotidiani nazionali leggo sempre che nelle altre grandi città le fasce orarie sono sempre differenti, e SEMPRE strutturate meglio di quelle torinesi, in modo da generare meno disagi possibili per gli "altri" lavoratori. Eh già, perché anche noi poveri sfigati che prendiamo il mezzo pubblico siamo lavoratori, e magari anche noi avremmo da lamentarci e magari siamo anche più appesi a un filo di questi dipendenti delle aziende di trasporto pubblico.

Inoltre mi piacerebbe che qualcuno mi spiegasse un'altra cosa, perché non mi è davvero chiara. Immagino che lo sciopero (dato che riguarda il contratto di lavoro della categoria) venga fatto contro l'azienda. Vale a dire, i lavoratori vorrebbero che le loro ore di sciopero nuocessero alla loro azienda.
Ma scioperare negli orari serali di rientro dei pendolari mi sembra darsi la zappa sui piedi, in quanto almeno il 90% degli utenti (in queste fasce orarie) è costituito da pendolari, gente che prende i mezzi tutti i giorni e pertanto è dotata di abbonamento, pagato interamente in anticipo. I soldi delle corse l'azienda di trasporto li ha già presi, così come i vari contributi regionali etc... In caso di sciopero la GTT risparmia i soldi degli stipendi degli scioperanti, quindi riduce i suoi costi, a parità di ricavi già ottenuti. A me sembra che più che recare danno all'azienda, lo sciopero dei lavoratori per la GTT rappresenti invece un vantaggio.
(Se mi sfugge qualche meccanismo e qualcuno ne sa più di me, chiaritemi pure le idee: ogni spiegazione sarà la benvenuta).

giovedì 9 dicembre 2010

sorprese tecnologiche

Appena tornato da pranzo, un mio collega ci ha raccontato cosa gli era appena successo. E' un episodio degno di un film comico.
Due brevi ma doverose premesse. Prima cosa: la moglie gli aveva reso ben chiaro - con messaggi più o meno subliminali - quale sarebbe stato il regalo di Natale che le sarebbe piaciuto molto... Seconda cosa: da qualche giorno il mio collega aveva riportato il proprio Bancomat in agenzia per richiederne la sostituzione, perché il tesserino si era rovinato. Dovendo pagare anche l'assicurazione, stamattina aveva preso il bancomat della moglie (il loro conto corrente è in comune).In pausa pranzo ha deciso di andare da Swarovski per comprare uno dei pendenti che la moglie desiderava: tutto bene, in negozio non c'era coda, gli hanno fatto un bel pacchettino, lui ha pagato con il bancomat... Soddisfatto come una Pasqua - per aver risolto il problemone del regalo di Natale per la consorte già il 9 dicembre - se ne torna in ufficio, e quando sente la moglie al telefono cosa gli dice lei? Che una mezzoretta prima era arrivato un SMS di notifica, per un importo x, dal negozio Swarovski di via Tal dei Tali.
Povero collega! Un po' stordito... Non si era ricordato della funzionalità di notifica automatica attivata sul conto... e così la sorpresa è sfumata! Sua moglie aveva le lacrime agli occhi talmente stava ridendo quando glielo ha detto per telefono...

mercoledì 8 dicembre 2010

letture serie

Mario Calabresi, Spingendo la notte più in là
La foto sulla copertina ritrae una scena felice: una donna sorridente seduta insieme a tre bambini in un prato di montagna. Sembra una scena familiare, anch'io possiedo fotografie simili a questa fra le vecchie foto di famiglia, eppure in questa c'è qualcosa di diverso, poiché questa è la famiglia Calabresi. Il bambino con la maglietta gialla si chiama Mario.

Mario Calabresi è il direttore del quotidiano La Stampa, ma è anche il figlio del commissario Luigi Calabresi, ucciso nel maggio 1972.
In questo libriccino dà voce alle famiglie dei caduti del terrorismo, mogli e figli troppo spesso poco considerati dalle istituzioni e dalla società, che sembrano sempre meglio disposti nei confronti dei carnefici che non delle vittime, soprattutto nel lungo termine. Molto più efficaci di qualsiasi parola di commento che potrei scrivere io, penso che siano significativi alcuni estratti che mi limito a riportare qui sotto:

"I brigatisti si portano dietro un'aura di persone impegnate, di combattenti, invece erano dei poveretti che facevano la lotta armata per riscattare delle vite senza prospettive, gente povera di idee e di spirito. [...]
I terroristi non sono stati sconfessati come assassini ma troppo spesso descritti come dei perdenti, persone che hanno fatto una battaglia ideale ma non sono riusciti a vincere. In questo modo però sono loro a diventare dei modelli. E le inchieste dimostrano [...] che ci sono ancora messaggi capaci di passare alle nuove generazioni..."

"Nulla [...] può essere preteso. Ci sono però sensibilità, attenzioni, gesti che possono aiutare a ridurre i dolori, ad accettarli. Non bisogna dimenticare che la maggior parte delle persone uccise negli Anni di piombo lavorava per lo Stato e ha pagato con la vita per questo. Invece il Paese sembra attraversato da un analfabetismo di sensibilità."

"La disparità di trattamento tra chi uccise e chi venne ucciso è irreparabile, continua negli anni aggravata dal fatto che chi allora uccise scrive memorie, viene intervistato dalla tivù, partecipa a qualche film, occupa posti di responsabilità, mentre alla vedova di un appuntato nessuno va a chiedere come vive da allora senza marito, se ci sono figli che hanno avuto un'infanzia da orfani, se il tempo trascorso ha chiuso le ferite, il rimpianto, il dolore.
Uccisi perché? Per il sogno di un gruppo di esaltati che giocavano a fare la rivoluzione, si illudevano di essere spiriti eletti, anime belle votate a una nobile utopia senza rendersi conto che i veri 'figli del popolo', come li chiamava Pasolini, stavano dall'altra parte, erano i bersagli della loro stupida follia."

"La strage di piazza Fontana [...] sarebbe ora di consegnarla alla storia, insieme a tutta la stagione di sangue che nacque quel pomeriggio. Di voltare pagina, di parlare di quegli anni con più serenità, di capire cosa è successo e perché. Ma non sembra ancora possibile, in quanto troppe verità mancano, troppe responsabilità non sono state accertate, molti attendono ancora giustizia e il dibattito resta inquinato dalle convenienze e dalle autodifese, anche quelle generazionali. [...]
Penso che voltare pagina si possa e si debba fare, ma la prima cosa da ricordare è che ogni pagina ha due facciate e non ci si può preoccupare di leggerne una sola, quella dei terroristi o degli stragisti, bisogna preoccuparsi innanzitutto dell'altra: farsi carico delle vittime.
Chi ancora viaggia per l'Italia a chiedere perché e da chi venne uccisa la donna che amava, come Manlio Milani, sopravissuto alla strage di piazza della Loggia a Brescia, può accettare di voltare pagina?
Chi attende ancora i risarcimenti dallo Stato.
Chi aspetta che gli vengano pagate le cure per le ferite che si porta addosso da decenni.
Chi ha la sensazione che gli si nascondano i particolari di quel giorno, che si coprano responsabilità e connivenze.
Chi vede gli assassini di un padre, un fratello, un figlio, una moglie o un marito parlare nelle università, in televisione, ai convegni.
Da chi si sente dimenticato, messo da parte, perdente, come si può pretendere serenità di giudizio? Come si può chiedere il coraggio della clemenza?"

"Pagata la pena si è liberi, ma non sono finite le responsabilità."

"La reclusione dei condannati non ci ha mai restituito nulla, non è mai stata di consolazione. Contano di più le sentenze, l'impegno dello Stato a cercare la verità, a dare giustizia."


Corrado Augias, I segreti del Vaticano
Il termine "Vaticano" evoca immediatamente l'immagine dell'immensa piazza antistante la basilica di San Pietro e il monumentale colonnato che l'abbraccia. Tra i fedeli cattolici evoca anche la finestra da cui il papa benedice la folla festante. Ma il Vaticano è molto di più. Stato di diritto tra i più piccoli al mondo, minuscola città dentro la vasta città di Roma, di cui ha condiviso le vicissitudini e di cui costituisce "l'altra faccia", ha una lunghissima storia, ricca di chiaroscuri e di personaggi più o meno limpidi. E insieme a incredibili tesori artistici, custodisce nei suoi palazzi molti segreti legati a vicende antiche, recenti e contemporanee.

Dopo aver raccontato i segreti di Parigi, New York, Londra e Roma, Corrado Augias rivolge ora la sua attenzione a quelli, quasi impenetrabili e gelosamente serbati, della Santa Sede. Anche qui le pietre parlano, ma più rivelatrici ancora sono le storie di coloro che, nel corso dei secoli, hanno abitato questi palazzi.
Si inizia con Nerone e i primi cristiani sullo sfondo della Roma imperiale per passare poi a Costantino: la sua famosa e apocrifa donazione al papa ha per secoli rappresentato l'atto di nascita del potere temporale della Chiesa. La galleria dei personaggi è ricchissima. Oltre a templari, gesuiti, inquisitori e membri della potente Opus Dei, ci sono, naturalmente, i papi, dall'umile Celestino V all'arrogante Bonifacio VIII, dal discusso Pio XII al mite ma rivoluzionario Giovanni Paolo I.
E con loro gli artisti, ingaggiati per testimoniare, più che la gloria del Creatore, quella del committente: da Bernini e Borromini, rivali e diversi in tutto, a Michelangelo. Non mancano figure più pittoresche: Marozia, concubina papale forse all'origine della leggenda medievale della papessa, l'irrequieta e anticonformista regina Cristina, luterana, che lascia il trono di Svezia per trasferirsi a Roma.
Fra le storie più recenti, Augias ricostruisce quella delle morti del colonnello delle guardie svizzere, di sua moglie e di un vicecaporale nel 1998, quella della misteriosa scomparsa di Emanuela Orlandi e lo scandalo dello IOR.

Un tratto sembra legare, agli occhi dell'autore, tutte queste vicende, le più antiche e le più recenti: la commistione fra cielo e terra, fra spiritualità e potere temporale, e il prezzo altissimo che la Chiesa cattolica, unica religione fattasi Stato, ha pagato e paga nel tentativo di conciliare due realtà difficilmente compatibili.

Nell'appendice al libro Augias puntualizza alcune distinzioni che spesso non sono così chiare.
Lo stato della Città del Vaticano è un'entità sovrana titolare di soggettività internazionale, uno Stato indipendente: ha un territorio, può battere moneta, emanare leggi, ha una bandiera, un inno, una lingua eccetera.
La Santa Sede invece è un'entità diversa, una persona morale di diritto pubblico che esercita la sovranità sul Vaticano attraverso la figura del Pontefice, in pratica la si può vedere come se fosse una monarchia elettiva non ereditaria.
E poi c'è la Chiesa cattolica, vale a dire che la confessione cristiana che si riconosce nell'autorità papale e nel suo insegnamento, e di cui fanno parte tutti i cristiani battezzati.
Spesso si tende a fare confusione fra queste tre entità, e l'errore è facilitato dall'ambiguità stessa della Chiesa, che mescola dottrina e affari terreni, spiritualità e politica.

Marta Boneschi, Di testa loro
In epoca di veline, escort e ministre da calendario, leggere di donne italiane che, nel corso del Novecento, hanno raggiunto obiettivi importanti deviando da quello che era il destino "convenzionale" di una donna, è un po' come una boccata di aria fresca. La Boneschi ha scritto diversi libri di storia del costume italiano degli anni '50 e '60, con approfondimenti soprattutto sulla condizione femminile.

In questo libro riporta le storie di 10 donne che, ciascuna a modo proprio, grazie alla propria forza d'animo e alla propria ribellione alle regole della tradizione, è riuscita a ottenere dei grandi risultati.
Maria Montessori e Rita Levi Montalcini lottano ostinate per iscriversi alla facoltà di medicina, e ottengono grandi riconoscimenti soprattutto all'estero. Angela Merlin e Teresa Noce si oppongono strenuamente al fascismo e nel dopoguerra lottano per ottenere leggi che riconoscano i diritti delle donne. Franca Valeri, Alida Valli e Lucia Bosè si fanno strada con determinazione nel mondo dello spettacolo. Luisa Spagnoli, in un mondo di imprenditori tutti uomini, crea con il Bacio Perugina un cioccolatino immortale. Armida Barelli con energia battagliera organizza migliaia di giovani cattoliche. Franca Viola rifiuta di sposare il suo stupratore e lo porta in tribunale.

Ammetto che fra i 10 nomi scelti dall'autrice, secondo me le storie delle donne di spettacolo avrebbero forse potuto lasciar spazio alle biografie di altre donne, attive nella politica o nell'imprenditoria (ad esempio le storie di Bianca Guidetti Serra e Marisa Bellisario mi sarebbero interessate di più - tanto per fare due nomi tra centinaia possibili...) Una donna che diventa famosa come attrice o cantante è molto più comune di una che raggiunge posti di rilievo nella politica o nell'economia.
E' stata una piacevole scoperta, ad esempio, leggere la storia di Angela Merlin, che ormai nello stereotipo comune viene vista come la vecchia zitella moralista che fece chiudere i bordelli. In realtà la Merlin - che non era zitella bensì vedova - era una socialista di lungo corso che durante il fascismo visse anni in confino, fece parte del CNL e dell'Assemblea Costituente. Fu grazie a lei se nell'articolo 3 della Costituzione ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali") venne inserita esplicitamente la specificazione "di sesso".
La lotta contro le case chiuse prendeva l'avvio dalle richieste dell'ONU di cancellare questa forma di schiavitù, e dalla palese discriminazione delle prostitute, che all'epoca erano schedate e praticamente recluse, trattate come delle vere e proprie schiave prive degli elementari diritti civili di persone. L'intento della Merlin non era quello di abolire la prostituzione - consapevole che si sarebbe trattato di un obiettivo utopico - ma solo di abolire la schiavitù di alcune donne.

Altra storia, umana e politica, molto particolare, è quella di Teresa Noce, "brutta, povera e comunista", alla quale però le donne italiane possono dire grazie per le leggi che tutelano la maternità delle lavoratrici.

sabato 4 dicembre 2010

letture frivole

Sherrilyn Kenyon, L'abbraccio della notte
Nuovo libro della serie dei Dark Hunters, una serie scanzonata e divertente che mescola mitologia greca (ma anche celtica, mediorientale, etc...), storie di mannari e di pseudo-vampiri. Sembrerebbe un gran casino, ma la Kenyon riesce a dosare abilmente gli ingredienti.
L'ambientazione principale dei libri è New Orleans, dove gravita tutta una serie di personaggi pittoreschi e fuori di testa. Le storie dei primi titoli della serie (incluso questo) seguono lo schema di Lui Cacciatore Oscuro ed immortale che incontra Lei umana, i due si innamorano, ci sono dei cattivi più o meno potenti da combattere, alla fine Lei riesce a riottenere l'anima del Cacciatore, e poi tutti vissero felici o contenti. Ecco, questa ripetitività è forse l'unica pecca che mi sento di sottolineare... per il resto la lettura è agile e divertente.

In ogni titolo vengono introdotti nuovi personaggi, e molti di questi avranno narrata la loro storia in un libro futuro. Un personaggio molto intrigante è Acheron, il capo dei Dark Hunters, la cui storia viene accennata per gradi nel corso di ogni libro.

Christine Feehan, Il principe vampiro - Attrazione fatale
Ho terminato a fatica la lettura di questo libro, e la cosa è servita a rendermi inequivocabilmente chiaro che i libri della Feehan non incontrano i miei gusti e non ci spenderò mai più neanche mezzo centesimo. Già il primo libro della serie Ghostwalkers - della stessa autrice - non mi era assolutamente piaciuto (troppo barboso, con una trama inconsistente e infarcito di troppe scene di sesso gratuite).
Questo è il primo della serie Dark dedicata ai Carpathians, e purtroppo l'impressione che ne ho ricavato è stata pressoché la stessa - accompagnata in più da fastidio/antipatia nei confronti dei due protagonisti. E' una serie di cui avevo sentire parlare per anni (questo primo libro risale infatti al 1999), ma per vederla pubblicata in Italia son stati necessari secoli. Logico quindi che si fosse creata un minimo di aspettativa e di curiosità.

L'idea di base non è malaccio: i Carpaziani sono esseri immortali, son rimasti in circolazione quasi soltanto maschi, e costoro devono trovare la loro compagna per la vita se vogliono evitare di diventare vampiri assetati di sangue. Considerando che il libro è comparso anni prima dei vari Twilight & Co. potremmo definirla un'idea abbastanza originale.

Peccato però che questo barlume di originalità venga soffocato e spento da un personaggio maschile arrogante e maschilista all'ennesima potenza, da un personaggio femminile con la forza di volontà di un mollusco, da dialoghi mentali confusi e ripetitivi, e da scene di sesso onnipresenti fino alla noia (da pagina 300 in poi non ce l'ho più fatta e ho bypassato completamente tutte le scene di amplessi, limitandomi a leggere solo i pezzi che servivano a far proseguire la trama!).