venerdì 14 ottobre 2011

jane eyre


Ieri sera ho visto il nuovo adattamento cinematografico di "Jane Eyre", che rimane, pur a tanti anni dall'ultima volta in cui l'ho letto, uno dei miei libri preferiti e più cari. Nei giorni scorsi avevo letto in giro sul web delle recensioni di spettatrici che erano rimaste un po' deluse da questa nuova versione, e soprattutto dal Rochester interpretato da Michael Fassbender. Partivo quindi con qualche paura, ma alla fine devo dire che questa versione non mi è dispiaciuta, tutt'altro.

Più gotica e cupa delle precedenti, questa rilettura filmica si apre con la fuga di Jane da Thornfield, dopo il mancato matrimonio, e procede a raccontare tutta la storia precedente - anni infantili a Longbourn inclusi - in forma di flashback.
E' sicuramente difficile infilare tutto il libro in due ore esatte, e infatti secondo me alcuni passaggi sono stati talmente solo accennati che, se non si è letto il libro, vanno persi (ad esempio la malattia della piccola Helen, il fratello di Bertha). Comunque le atmosfere riprodotte sono fosche al punto giusto, con una Thornfield Hall illuminata dalle luci delle candele, popolata da voci lontane, pavimenti scricchiolanti e tendaggi svolazzanti, boscaglie nelle quali compare improvvisamente un nero destriero e brughiere attraverso cui giunge la voce perduta di Rochester.

Rispetto al precedente film di Zeffirelli, ho trovato un po' affrettato e scarsamente elaborato l'avvicinamento iniziale fra Jane e Rochester (non vi ho avvertito molta tensione) ma mi sono ugualmente emozionata soprattutto nella seconda parte.

Se siete amanti di Jane Eyre, questo film va sicuramente visto. Da parte mia penso proprio che nei prossimi giorni mi riguarderò anche le precedenti versioni (quella di Zeffirelli e quella dello sceneggiato BBC 2006).
Jane Eyre - la recensione del film
(di Federico Gironi, ComingSoon)


Americano, madre svedese e padre giapponese, Cary Fukunaga aveva all’attivo il grande successo indipendente di Sin Nombre, ovviamente inedito in Italia, quando ha deciso di cimentarsi nell’impresa di un nuovo adattamento cinematografico del celebre romanzo vittoriano di Charlotte Brontë.
Imbattutosi nel copione scritto dalla sceneggiatrice di Tamara Drewe, Moira Buffini, Fukunaga ha fin dall’inizio dichiarato di voler lavorare con attenzione sui risvolti gotici della storia, dell’ambientazione e dei personaggi: e i risultati confermano queste intenzioni.

Il suo Jane Eyre è lontanissimo dalla celebre versione di Robert Stevenson interpretata da Joan Fontaine e Orson Welles, così come dal più recente degli adattamenti, quello diretto da Zeffirelli con Charlotte Gainsbourg e William Hurt. Eppure rimane coerentissimo alla sua matrice letteraria, con un afflato di fedeltà che travalica le mere circostanze narrative.
Ricalcando la ricchezza interiore e il rigore formale del personaggio che gli da il titolo e di cui narra la parabola di vita, il film di Fukunaga si aggrappa alla ruvida e gelida materialità dei luoghi e di certe mentalità, ma lascia anche spirino folate di spiritualità, di mistero e di passioni.
Di spiriti, la Jane Eyre interpretata da una Mia Wasikowska che recita con la sordina e colpisce al cuore con le frequenze basse della sua ottima performance, parla fin dall’inizio. Spiriti, rumori, misteri, presagi e voci nella brughiera che rispecchiano l’irrazionale incontenibile delle passioni del cuore e della mente, che sembrano provenire dai racconti che si facevano Byron, Shelley e Polidori chiusi dalla villa di Diodati. E allora non appare un caso o un vezzo che il Rochester di Fassbender sia un personaggio decisamente byronesco: scapigliato, inquieto e volatile, quasi più rockstar ante litteram che poeta maledetto.

L’amore tra i due, di conseguenza, o come causa, è allora più viscerale e appassionato di quanto il cinema ci abbia abituato a vedere, più ossessionante nella sua irrinunciabile natura. Per questo, più centrale e dominante rispetto alle altre sfumature della storia.
Eppure, quello di Fukunaga non è un film "caldo": perché, proprio come fatto da Andrea Arnold nell’altro recente adattamento brontiano, quello di "Cime tempestose", dimore e brughiere sono messe in scena in tutta la loro ostica natura, in una nudità che non nasconde il buio, il freddo, lo scomodo e il doloroso. Ma rispetto a Wuthering Heights, Jane Eyre si perde meno nella ricercatezza fotografica che quasi contraddice la natura dura e pura dello sguardo, concedendosi un’eleganza pittorica mai levigata, nella quale il segno del pennello e della fatica son sempre percepibili.

Una fatica che è quella sopportata da Jane, fisica e morale, in qualsiasi contesto la mostri il film: dalla casa della zia Reed a quella solo in apparenza più ospitale di St.John Rivers, passando per la scuola Lowwood. E, ovviamente, in una Thornfield Hall mai così oscura e stregata, i cui cupi e monotoni corridoi s’illuminano solo al passare della Wasikowska.
Flebilmente ma intimamente, come quei rossori che balenano sulle guance dell’attrice che scaldano e coinvolgono perfino lo spettatore.

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