mercoledì 28 dicembre 2011

cani di sangue blu


Oscar Grazioli
Cani di sangue blu. Storia e storie di 31 razze celebri
Edizioni L'Età dell'Acquario


I cani di sangue blu protagonisti di questo libro sono animali diventati famosi perché hanno preso parte, nel bene e nel male, alle vicende di personaggi celebri e potenti, presidenti, regnanti, attori, poeti. L'autore, veterinario e giornalista, ha suddiviso il libro in 31 capitoli, ciascuno dei quali dedicato ad una razza, di cui introduce le origini e le caratteristiche, per poi passare agli aneddoti che riguardano, per l'appunto, gli esemplari "famosi". Un capitolo finale è dedicato ai coraggiosi cani che lavorarono fra le macerie del World Trade Center di New York.
A mio parere, a volte l'autore vuole fare un po' troppo il simpatico e spesso e volentieri divaga eccessivamente, rispetto a ciò che sta raccontando, ma in definitiva il libro è comunque una lettura carina e piacevole per chi ama i cani.

Moustache, ad esempio, fu il cane più famoso dell'esercito napoleonico. Barbone, sin da cucciolo affiancò una brigata francese; fece scoprire alcuni soldati nemici che si erano infiltrati nel campo e rimase ferito più volte. L'episodio più famoso ebbe luogo ad Austerlitz: il portabandiera rimase improvvisamente solo e accerchiato dal nemico, solo con la sua bandiera. Nessuno lo poteva sentire, a parte Moustache, che si gettò sui nemici in mezzo al fuoco dell'artiglieria. Il portabandierà morì avvolto dalla bandiera, e Moustache attaccò i russi per non fargli prendere il drappo. Approfittando di alcune fucilate francesi (che distraevano i russi), Moustache riuscì ad addentare l'asta e a recuperare il glorioso "Aigle" da sotto al portabandiera. Mentre correva però, il coraggioso cane venne raggiunto da un proiettile che gli frantumò una zampa. Verrà ritrovato qualche ora dopo, ferito ma con l'asta della bandiera fra i denti. Fu così che, pur perdendo una zampa, ottenne una medaglia.
La leggenda vuole che fu presentato a Napoleone, e che salutò l'imperatore con la zampa anteriore faticosamente alzata a livello delle orecchie. Continuò ad accompagnare i reggimenti, e morì su un campo di battaglia in Portogallo, colpito in pieno da una palla di cannone. Venne seppellito con il suo collare e con la sua medaglia "Qui giace Moustache, valoroso, morto sul campo con Onore". Un vero e proprio soldato a quattro zampe.

L'Irish wolfhound è uno dei cani più grandi che mi sia mai capitato di vedere. Il libro riporta una triste leggenda che avevo conosciuto in Galles. Nel XIII secolo Llewelyn, principe di Galles, si dedicava giornalmente alla caccia insieme a Gelert, il suo Irish Wolfhound. Un giorno, durante una battuta, il principe si accorse che il cane non c'era. Rientrò a casa per verificare cosa fosse successo, e il cane gli venne incontro scodinzolando, ma il principe rimase di pietra nel vedere il suo mantello coperto di sangue. Con un sinistro presentimento, il principe corse nel castello, verso la stanza dove di solito dormiva suo figlio neonato. La culla era tutta sottosopra, vuota, e c'era sangue dappertutto. Non poteva esserci che una spiegazione: il cane era impazzito e aveva ucciso e mangiato il bambino.
Il principe sguainò la spada e l'affondò nel fianco di Gelert, già coperto di sangue. All'urlo del cane che stava morendo rispose un flebile vagito. Il principe seguì il suono e giunse in una stanza dove, coperto da una pila di panni presi dalla culla, piangeva il suo bambino, sano e salvo. Poco lontano da lui giaceva il corpo di un grosso lupo, ovviamente ucciso da Gelert dopo una sanguinosa lotta.
Distrutto dal rimorso e dalla vergogna per quanto aveva commesso, Llewelyn giurò che non avrebbe mai più riso e volle che al cadavere di Gelert venisse praticato l'identico rito con cui si cremava il migliore amico.
Quel posto venne chiamato Bedd Gelert (la tomba di Gelert) e attorno al luogo di sepoltura nacque poi nel tempo la cittadina di Beddgelert. Storia o leggenda? Come sempre accade, probabilmente una base di verità esiste: Llewelyn è vissuto davvero, la tomba di Gelert esiste e il piccolo villaggio di Beddgelert pure, nello Snowdonia Park: ci sono passata anch'io, anche se non ho avuto tempo di fermarmi. Purtroppo sono venuta a conoscenza di questa leggenda soltanto nei giorni successivi, spulciando la Lonely Planet, altrimenti mi sarei senz'altro fermata per vedere la tomba di Gelert.

Laika, la famosa cagnetta che andò incontro ad una morte orribile sullo Sputnik 2, nel 1957, probabilmente era un incrocio fra un terrier e un samoiedo, e il suo vero nome era Kudrjavka (Laika in russo è un appellativo generico per "cane"). La sua storia mi aveva colpito sin da quando ero piccola - su uno dei miei libri (Il grande libro del sapere) c'era una piccola illustrazione che la ritraeva - ed è proprio pensando a lei che ho chiamato Laika la prima cagna che ho avuto.
Dopo il crollo del regime sovietico sono venuti alla luce diversi documenti, ed è emerso che la povera Laika morì probabilmente in meno di cinque ore dal lancio, a causa dello stress e dello spavento, e del surriscaldamento dovuto a un impianto di raffredamento che smise quasi subito di funzionare. Fu solo quando Laika era in orbita che i sovietici annunciarono l'assenza di un qualsiasi piano per recuperarla. Era mancato il tempo e la corsa al cosmo aveva le sue regole.
E oggi sappiamo anche che Laika fu imbragata dentro la capsula già diversi giorni prima del lancio e fu poi cosparsa di alcol per far aderire meglio i sensori che dovevano monitorarne le funzioni vitali. Solo poco tempo fa, uno dei ricercatori superstiti che partecipò all'allestimento della missione sovietica, Oleg Gazenko, ormai anziano, ammise pubblicamente il proprio pentimento: "Più tempo passa e più mi rammarico per la nostra scelta. Non era proprio necessaria. Da quella missione non abbiamo imparato tanto da giustificare la tragica fine di quel cane."

A proposito della storia di Laika, consiglio di leggere anche la graphic novel "Laika" di Nick Abadzis (Magic Press, 2008), emozionante e ben documentata.

E infine non può mancare quello che è forse il più celebre epitaffio dedicato al migliore amico dell'uomo, scritto da Lord Byron in memoria del suo fedele Boatswain, un Terranova. La dedica è scolpita sulla tomba del cane, più grande di quella del poeta stesso, eretta nel giardino di Newstead Abbey. Byron curò il suo cane, colpito dalla rabbia, sino alla fine, incurante del pericolo che lui stesso poteva correre.


Near this Spot
are deposited the Remains of one
who possessed Beauty without Vanity,
Strength without Insolence,
Courage without Ferosity,
and all the virtues of Man without his Vices.

This praise, which would be unmeaning Flattery
if inscribed over human Ashes,
is but a just tribute to the Memory of
BOATSWAIN, a DOG,
who was born in Newfoundland May 1803
and died at Newstead Nov. 18, 1808.

When some proud Son of Man returns to Earth,
Unknown by Glory, but upheld by Birth,
The sculptor’s art exhausts the pomp of woe,
And storied urns record who rests below.
When all is done, upon the Tomb is seen,
Not what he was, but what he should have been.
But the poor Dog, in life the firmest friend,
The first to welcome, foremost to defend,
Whose honest heart is still his Master’s own,
Who labours, fights, lives, breathes for him alone,
Unhonoured falls, unnoticed all his worth,
Denied in heaven the Soul he held on earth:
While man, vain insect! hopes to be forgiven,
And claims himself a sole exclusive heaven.

Oh man! thou feeble tenant of an hour,
Debased by slavery, or corrupt by power,
Who knows thee well must quit thee with disgust,
Degraded mass of animated dust!
Thy love is lust, thy friendship all a cheat,
Thy tongue hypocrisy, thy heart deceit!
By nature vile, ennobled but by name,
Each kindred brute might bid thee blush for shame.
Ye, who perchance behold this simple urn,
Pass on - it honors none you wish to mourn.
To mark a friend’s remains these stones arise;
I never knew but one - and here he lies.

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