mercoledì 30 dicembre 2015

the shadows

J.R. Ward, The shadows
Mah, gli do tre stelline su cinque, su Goodreads. Potevano anche essere due, quelle da attribuire come voto... però nonostante tutto il libro l'ho letto in soli tre giorni, e questo se non mi fosse proprio piaciuto non sarebbe successo.

Ad ogni modo il giudizio su questo nuovo capitolo non è entusiastico. Le Ombre non mi interessavano prima, e non l'hanno fatto neanche stavolta. La storia fra Trez e Selena è stata una simil "Love Story" lacrimosa che mi sarei volentieri risparmiata (e ho salticchiato qua e là durante la lettura dei loro capitoli, confesso!). Rhage l'ho trovato ancora più intollerabile (e difatti le sue parti le ho salticchiate ancora di più). Stavolta anche Layla e Xcor mi hanno stufata.

L'unica cosa un po' interessante sono stati iAm e la sua Maichen (anche se pure nel loro caso la sensazione di carrambata imminente ha permeato l'atmosfera sin dall'inizio). Com'è che diversi libri fa la s'Hisbe veniva dipinta come un regno comandato col pugno di ferro da una regina onnipotente, e adesso in quattro e quattr'otto viene fatto sembrare il villaggio degli oroscopi (taroccati!), dove in dieci minuti il capo delle guardie fa fuori la regina cattiva per far prendere il potere alla principessa buona? Tra parentesi s'Ex è stato uno dei personaggi che ho trovato più accattivanti, stavolta.
Insomma, la Ward crea sempre grandi aspettative e finisce per risolvere tutto a tarallucci e vino.

Una nota per la traduzione italiana: a differenza del passato (vabbé che in italiano avevo letto soltanto "The king", mentre gli altri titoli me li ero puppati tutti in originale), stavolta l'ho trovata molto dissonante, non all'altezza.

mercoledì 23 dicembre 2015

bridget jones, un amore di ragazzo

Sono stata felice di constatare, a fine lettura, che il timore che questo sarebbe stato un libro che avrei odiato non si è realizzato. Bridget Jones 3 non mi è dispiaciuto. Ma perché avevo questa paura? Semplicemente perché la Fielding fa la carognata di far morire Mark Darcy - prima ancora dell'inizio del libro - e di lasciare Bridget vedova, con due bimbi piccoli a carico; Billy e Mabel. Ecco il motivo per cui mi ero tenuta lontana dal libro per un paio di anni (è uscito nel 2013), e non l'avevo ancora affrontato.
Quando è stato pubblicato, la mancanza di Mark Darcy  (oh, per me non c'è niente da fare: dico Mark Darcy e mi viene sempre in mente lui,  Colin Firth!) era stata ampiamente resa nota, e questo mi aveva reso antipatico il libro.
Sono una forte sostenitrice del terzo diritto imprescindibile del lettore (Pennac docet) - "il diritto di non finire un libro" - inteso come diritto di non finire/proseguire una serie/saga letteraria se l'autore me la snatura o parte per la tangente.

Però in questi giorni mi sono trovata ad avere sotto mano il libro incriminato, e essendo nella fase di "che libro leggo adesso?" l'ho cominciato, pur col bagaglio di tutti i pregiudizi che mi ero fatta. E sorprendentemente, alla fine, il libro mi è piaciuto.

Nonostante tutto, la Bridget del libro numero 3 non è poi troppo diversa da quella dei primi due diari, anche se spesso i pensieri rivolti a Mark fanno capolino, e nonostante la sorta dei cinquant'anni sia stata varcata e quindi i problemi e le priorità siano cambiati.
Gli amici storici di Bridget continuano ad essere presenti (anche se per fortuna le serate-sbornia sono drasticamente diminuite), la madre è rimasta anche lei vedova e vive in un'arzilla casa di riposo; anche Daniel è sempre il solito mascalzone (seppur padrino dei figli di Bridget e Mark).

Ma dopo cinque anni di lutto la nostra eroina è pronta per provare a rituffarsi nella vita, passando prima attraverso le gaffe con l'uomodallagiaccadipelle, avendo poi la botta di culo di trovare (su Twitter!) un trentenne fighissimo e amabilissimo con cui le cose vanno divinamente, e finendo per approdare ad una relazione definitiva - potenzialmente più paritaria - con un insegnante della scuola di Billy. Ovviamente la Fielding non perde occasione per disseminare nel diario di Bridget i resoconti del suo tragicomico rapporto con Twitter e coi social network.

So che sono in corso in questo periodo le riprese del terzo film di Bridget Jones. Ci sono sempre Reneè Zellweger (non so se sia riuscita a ripristinarsi la faccia in qualche  modo!), Colin Firth e poi la new-entry Patrick Dempsey. Questo mi porta ad avere dei dubbi sul fatto che il film sia la trasposizione di questo terzo libro, poiché Mark Darcy/Colin Firth non dovrebbe esserci (al massimo in qualche flashback...). Ma posso anche sbagliarmi. Quando la produzione diffonderà qualche notizia in più sapremo meglio...

domenica 13 dicembre 2015

matisse e il suo tempo

Matisse e il suo tempo
Torino, Palazzo Chiablese
12 dicembre 2015 - 15 maggio 2016


Le opere in mostra a Palazzo Chiablese di Torino provengono dal Centre Pompidou di Parigi. Sebbene il titolo ponga in rilievo soprattutto Matisse, in realtà ci sono anche molti altri lavori di suoi contemporanei: un buon ritratto dello spirito del tempo dei primi anni del XX secolo. In totale si tratta di 50 opere di Matisse, e di altri 47 capolavori di artisti del calibro di Picasso, Renoir, Bonnard, Modigliani, Mirò, Derain, Braque, Marquet e Léger.


La scelta di indicare Matisse nel titolo della mostra è dovuta principalmente a un criterio quantitativo, anche se, come si può vedere, l'esposizione è ben più ricca. La mostra pone comunque un forte accento sulla carriera di Matisse, il cui stile pittorico ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte contemporanea.
Matisse, una delle personalità artistiche più affascinanti del Novecento, durante tutta la sua carriera è stato capogruppo dei fauves, osservatore critico del cubismo, discepolo di Signac, Renoir e Bonnard, rivale di Picasso, maestro d’accademia e infine precursore di un'arte che anticipa l’espressionismo astratto newyorkese.


Il percorso espositivo è articolato in dieci sezioni, organizzate secondo un percorso cronologico, che permette di scoprire Matisse fin dagli esordi fino ai suoi ultimi momenti, senza però dimenticare gli approfondimenti tematici:
- I “Moreau” (gli esordi di Matisse e i suoi legami d’amicizia con i condiscepoli dell’atelier di Gustave Moreau all’École des Beaux-Arts)
- Il periodo del Fauvismo
- Polo Nord – Polo Sud. Matisse e il Cubismo (la scoperta e lo scontro artistico con il Cubismo di Braque e Picasso)
- Gli anni di Nizza, riletture (le prime forme di Impressionismo)
- Il pitture delle odalische (il viaggio in Marocco e le influenze della cultura del luogo)
- Il desiderio della linea. Matisse e il Surrealismo
- Dipingere la pittura. Gli atelier di Matisse
- Matisse, Renoir e la “Danza” di Barnes
- Il Modernismo. La svolta degli anni Trenta
- Il lascito di Matisse all’Astrattismo. L’ultimo Matisse


giovedì 3 dicembre 2015

luci d'artista


Si possono coniugare la tradizione delle luminarie natalizie e l'arte contemporanea? La risposta è sì, e a Torino lo fanno da ormai quasi 20 anni, nel periodo che precede il Natale.
La città di Torino ha dato un'etichetta altisonante alle classiche illuminazioni natalizie, chiamandole "Luci d'Artista". In effetti le diverse installazioni realizzate con la luce sono state ideate e progettate da vari artisti contemporanei, italiani e stranieri, anche di fama, quindi possono tranquillamente essere etichettate come "opere d'arte".

Regno dei fiori: nido cosmico di tutte le anime, di Nicola De Maria
Ogni anno, intorno al periodo autunnale in cui torna l'ora solare, si vedono gli omini del Comune che montano le illuminazioni, spesso con l'ausilio di camion e gru. E' una scadenza particolare, perché da quel momento in poi, quando la sera uscirò dall'ufficio, ci sarà buio fitto a causa del cambio dell'ora. Grazie alle Luci d'Artista, però, il tragitto fino alla metropolitana sarà almeno ravvivato da questi colori ed effetti luminosi.

La cosa intelligente delle Luci d'Artista torinesi è che vengono riciclate e re-inventate ogni anno. Di solito le vie e le piazze coinvolte nella manifestazione sono sempre le stesse, quasi tutte in zona centrale, ma di anno in anno le luci vengono ricollocate in una via differente rispetto all'anno prima, ovviamente anche in funzione di come si riescono ad adattare alla fisionomia della strada.
Ad esempio, le scritte della favola narrata da Mainolfi uno degli anni passati erano collocate in via Carlo Alberto, l'anno scorso in via Lagrange, e quest'anno in via Garibaldi.
Anche se il grosso delle opere viene riproposto anno dopo anno, con ogni nuova edizione c'è però in genere anche una new entry. Opere che vanno e opere che vengono, dunque.

Alcuni allestimenti sono davvero scenografici e mi piace sempre rivederli, anno dopo anno.
Il mio preferito in assoluto era il "Tappeto volante" di Buren, che di solito veniva allestito davanti al Municipio: un reticolato di lanterne rosse e blu disposte in maniera regolare a circa 8-9 metri da terra. Davvero suggestivo camminarci sotto. Peccato che quest'anno non sia stato riproposto.

Tappeto volante, di Daniel Buren
Sono molto pittoreschi anche gli allestimenti che riproducono, sulle volte delle gallerie di passaggio, le costellazioni e i cieli stellati.

L’energia che unisce si espande nel blu, di Marco Gastini
Simpatiche, invece, le installazioni che propongono colombe che tendono nel becco un nastro luminoso rosso, oppure quelle che narrano una favola tramite diverse frasi colorate appese lungo la via (la favola di Mainolfi che ho citato prima).

Volo su..., di Francesco Casorati
Se vi trovate a passare per Torino in questo periodo, e l'arte contemporanea vi interessa, o se più semplicemente queste luminarie artistiche vi incuriosiscono, procuratevi una mappa con la dislocazione delle varie opere. Potrete farvi una bella passeggiata esplorativa, naturalmente nelle ore serali-notturne, quando le luci sono accese! Avete tempo sin dopo l'Epifania.

Noi, di Luigi Stoisa

lunedì 30 novembre 2015

dimmi che credi al destino

Ornella ama i cieli di Londra, il caffè con la moka e la panchina di un parco meraviglioso dove ogni giorno incontra Mr George, un anziano signore che ascolta le sue disavventure, legate soprattutto a un uomo che lei non vede da troppo tempo, e che non riesce a dimenticare.
A cinquantacinque anni, Ornella si considera una campionessa mondiale di cadute, anche se si è sempre saputa rialzare da sola.
Per fortuna può contare su Bernard, il suo vicino di casa, che la osserva da lontano e la conosce meglio di quanto lei conosca se stessa. L'ultima batosta, però, è difficile da accettare. La piccola libreria italiana che dirige nel cuore di Hampstead – dove le vere star sono due pesci rossi di nome Russell & Crowe – rischia di chiudere: il proprietario si è preso due mesi per decidere.
Lei, che sa lottare, ha imparato anche a lasciarsi aiutare, e così chiama in soccorso la Patti, la sua storica amica milanese – inimitabile compagna di scorribande – che arriva in città con poche idee e tante scarpe, ma sufficiente entusiasmo per trovare qualche soluzione utile a salvare l'Italian Bookshop.
La prima è quella di assumere Diego, un ragioniere napoletano bello e simpatico, che fa il barbiere part-time, ha il cuore infranto e le chiama guagliuncelle.
Ma proprio quando la libreria ha più bisogno di lei, il destino riporterà Ornella in Italia, a bordo di una Seicento malconcia guidata in modo improbabile dalla Patti.

Una storia commovente di rinascita e speranza, ambientata in una Londra dove il cielo cambia sempre colore e l'amore brucia a fuoco lento; una storia che non avresti mai pensato di ascoltare, e che assomiglia terribilmente alla vita.

La mia opinione. Non proprio il libro che mi aspettavo, dopo aver letto la sinossi sul retro della copertina. Nella prima parte l'ho trovato un po' sciapo, e le protagoniste mi sembravano due rintronate che non si capiva bene perché fossero lì...
E poi esattamente a metà libro, al principio del capitolo 24, a noi lettori viene buttata in faccia la storia passata della protagonista. Ornella era affondata in un decennio di eroina, e poi nel decennio successivo aveva vissuto in un centro di recupero, per tornare alla vita.
Temi difficili e pesanti, narrati però in modo molto lieve. Paradossalmente, infatti, mi è piaciuta di più la seconda metà del libro che non la prima.
I personaggi che accompagnano Ornella, sia a Londra sia nella parentesi italiana, sono tratteggiati in maniera altrettanto delicata.

lunedì 9 novembre 2015

metronome

Metronome. A history of Paris from the underground up
di Lorànt Deutsch
 

Ho incrociato la mia strada con questo libro più volte, prima di arrivare a leggerlo il mese scorso. L'avevo notato qualche anno fa, quando era appena uscito nelle librerie francesi e io mi trovavo a Parigi per una vacanza di 4-5 giorni.
Il suo titolo - Metronome - mi era rimasto in memoria, tanto da farmelo notare nuovamente in una libreria internazionale ad Amsterdam nel 2011, in una sua traduzione in inglese. L'avevo soppesato e mi ero nuovamente chiesta: "lo compro oppure no?", ma l'avevo lasciato là.

E poi mi ci sono di nuovo imbattuta a Parigi, ovviamente, quest'anno a settembre, esattamente due minuti dopo che avevo comprato un altro volumetto storico-fotografico sulla Métro parisienne.

Metronome è una narrazione della storia di Parigi, dagli albori ad oggi, attraverso alcune fermate della sua metropolitana. Ma, anche se parte dalle stazioni della Métro e le usa come punto di partenza, è un libro di storia a tutti gli effetti. Un libro che consiglio di leggere a chi ama Parigi, a chi già ci è stato, a chi almeno in parte la conosce, a chi ci tornerà presto. Non mi sento di consigliarlo del tutto a un neofita, a qualcuno che non è mai stato nella ville lumière, semplicemente perché non è una guida turistica.

L'autore, Lorant Deutsch, è un attore che utilizza un metodo particolare per narrare la vita e la storia di Parigi. Ognuno dei 21 capitoli è relativo a un determinato secolo, e parte facendo riferimento ad una specifica stazione della metropolitana.
Ad esempio il primo capitolo si concentra sulla stazione Cité, e ci narra la storia degli albori di Parigi, e della tribù dei Parisii che furono i primi abitanti di quella che oggi conosciamo come Ile de la Citè. L'autore ci guida anche nelle location nei pressi della stazione che hanno un interesse storico-culturale, e che in qualche modo hanno relazione con la Parigi del primo secolo d.C.

E così si va avanti secolo per secolo, e stazione per stazione. Ogni capitolo occupa grosso modo lo stesso spazio degli altri, nel senso che non viene data predominanza a un periodo storico rispetto agli altri. E' tutto piuttosto bilanciato.
Questo può essere un po' frustrante se il proprio interesse verte soprattutto su certi argomenti a scapito di altri. Io confesso di aver cominciato a leggere Metronome dal capitolo 17, dalla parte del Re Sole che fece costruire il Complesso des Invalides. Arrivata al termine del libro ho ricominciato dal capitolo 1 per poter arrivare a "chiudere il cerchio" (ho trovato un po' pesante la lettura della parte medievale, dei secoli in cui si parlava di Franchi e Merovingi... questione di gusti).

scorci d'autunno a torino


Non sono una grande fan degli articoli-classifica, quelli che riportano le "10 cose da fare a...", le "10 cose da vedere a..." e via di questo passo. Sono soggettivi, spesso discutibili e quasi mai esaustivi. Semplici giochetti in forma di elenchi.
Però Torino, la mia città, è comparsa di recente nella lista delle 15 bellissime città d’Italia da visitare in autunno stilata da Skyscanner, importante comparatore di voli internazionale, e la coordinatrice del blog Chicks and Trips mi ha chiesto di preparare un post fotografico in tema.
Quindi ecco il mio piccolo contributo (che riporto anche qua).




L'eleganza del centro, degli antichi palazzi e dei cortili vi faranno rivivere le atmosfere regali e un po' malinconiche dei tempi andati.



Le fontane e i monumenti, numerosissimi e sparsi in tutta Torino, vi porteranno alla mente personaggi dei secoli passati: scienziati, sovrani, eroi risorgimentali e non solo.



Grazie ai numerosi parchi e giardini pubblici potrete rilassarvi durante le vostre esplorazioni della città.



Se dovesse piovere o far brutto tempo, grazie alle lunghe vie porticate del centro non avrete la scocciatura di dover tenere l'ombrello aperto, e fare contemporaneamente le fotografie. (E a volte sotto i portici incontrerete piacevoli sorprese...)



I panorami torinesi vi permetteranno di spaziare lungo tutto l'arco alpino, soprattutto da alcuni punti privilegiati di osservazione, come la Mole, il Monte dei Cappuccini o il nuovo grattacielo Intesa-Sanpaolo (beninteso: se il meteo vi sarà amico).



 Le botteghe e i caffè storici di Torino vi faranno conoscere i gianduiotti, i cremini, il bicerin, il sabaudo, il vermouth e altre squisitezze subalpine.


Se siete appassionati di storie magiche e vi incuriosiscono i temi esoterici, Torino vi fornirà pane per i vostri denti. Lo sapete, vero, che Torino è città magica per eccellenza?
Esistono appositi tour, molto frequentati non solo dai turisti, che ve la racconteranno tramite le storie più note.

Inoltre Torino è ricchissima di musei, sia in ambito artistico sia scientifico, adatti sia a grandi che piccini. Giusto per citarne due: il Museo Egizio e il Museo Nazionale del Cinema, ospitato dentro la scenografica Mole Antonelliana.
E poi il mese di novembre è particolarmente denso di eventi di rilevanza internazionale, nel campo dell'arte contemporanea e del cinema. Vi dicono nulla Artissima, Luci d'Artista e il Torino Film Festival, arrivato alla 33a edizione?
Ah, non paghi del riconoscimento citato in apertura, ho appena scoperto che anche il sito Trivago ha inserito Torino fra le 10 città italiane più ambite dove passare il Capodanno.
Cosa aspettate? Avete ancora bisogno di altre scuse per progettare un weekend (o una tappa più lunga) a Torino?

mercoledì 28 ottobre 2015

devoted in death

L'altro giorno mi hanno chiesto com'era l'ultimo libro della serie "In death", e ho avuto un attimo di defaillance nel ricordarmi di cosa parlasse. Il punto è che l'ho finito di leggere solo due settimane fa, e ho dovuto sforzarmi per ricordare.
Un po' sarà colpa della vecchiaia che avanza, ma sicuramente "Devoted in death" non è un libro indimenticabile. E purtroppo gli ultimi della Robb sono su questa lunghezza d'onda.

La storia si apre all'inizio del nuovo anno (siamo arrivati nel 2061 o nel 2062? Mi sono persa...) con una coppia in stile Bonnie & Clyde, che nel suo percorso dall'Arkansas a New York lascia una lunga scia di morti, passate per lo più inosservate.

Le cose cambiano quando, per il caso della loro prima vittima a New York, comincia ad investigare il tenente Dallas. Eve capisce presto che la vittima potrebbe essere soltanto l'ultima di una lunga serie, e questa sua intuizione è sostenuta pienamente da un vice sceriffo dell'Arkansas che partecipa alle indagini insieme al solito team di Eve.

I due assassini sono perciò chiari sin dalle primissime pagine, e il tenente Dallas riesce ben presto anche ad individuare i loro nomi. La difficoltà risiederà quindi nel trovarli e nel catturarli prima che possano uccidere anche le due nuove vittime che nel frattempo hanno intrappolato.

Non c'è molto Roarke in questo titolo, secondo me, e quello che c'è è molto "addomesticato", ormai è del tutto dedito ad aiutare la moglie con le investigazioni: credo che il capo di Eve potrebbe ormai dare anche a lui un distintivo onorario, oltre al titolo di "Civilian Consultant".
Le dinamiche tra Eve, Peabody e gli altri del suo gruppo sono ormai rodate, non ci sono sorprese. L'unico avvenimento degno di nota è Trueheart che verso fine libro sostiene l'esame per diventare detective (e naturalmente lo passa).

Mah, vediamo cosa ci proporrà il prossimo titolo della serie. Dovrebbe uscire a febbraio del prossimo anno: penso che lo leggerò ma non farò certo il conto dei giorni che mancano alla sua uscita.

mercoledì 21 ottobre 2015

il museo egizio di torino

"La strada per Menfi e Tebe passa da Torino" (Jean-Francois Champollion)

Da generazioni, noi ex-bambini torinesi conosciamo bene il Museo Egizio di Torino, poiché è una delle visite pressoché d'obbligo che vengono fatte nel corso della nostra carriera scolastica. Soprattutto le mummie sono fra i reperti che colpiscono di più la nostra immaginazione. Ma non ci sono soltanto loro. L'estrema familiarità con questo museo a volte ci fa dimenticare che il Museo Egizio di Torino è uno dei più importanti al mondo per la tematica, secondo solo a quello del Cairo.


Al mondo ci sono altri musei famosi che conservano cimeli egizi, ad esempio il British Museum di Londra, il Louvre di Parigi o il Neues Museum di Berlino.
Però quello di Torino è unico e ha una connotazione particolare rispetto ad essi, dato che non solo illustra la storia dell'Antico Egitto e conserva pezzi di particolare interesse artistico e testi funerari e religiosi, ma anche armi, strumenti musicali, utensili, vestiti, resti di cibi, documenti pubblici e privati che raccontano la vita quotidiana dell'Egitto antico, affascinante e misterioso, dal 4000 a.C. al 700 d.C.


Come mai un museo del genere nacque proprio a Torino? Semplicemente perché prese vita, nel 1824, dalla fusione di due ricche collezioni: quella di Bernardino Drovetti e quella dei Savoia.
Il piemontese Drovetti era console generale di Francia in Egitto durante le campagne napoleoniche, e raccolse oltre 5000 pezzi antichi, che riportò a casa creando il primo nucleo della collezione. I Savoia la acquistarono unendola agli oggetti (statue, mummie e tavole) che avevano già acquisito nei decenni precedenti per arricchire il museo di antichità dell'Università torinese.
Si formò così un museo Egizio, primo al mondo di nome e di fatto, che venne collocato nel Palazzo dell'Accademia delle Scienze.


Gli oggetti documentavano soprattutto i periodi del Nuovo Regno e dell'Età Tarda (dalla metà del II al I millennio a.C), periodi più recenti rispetto all'epoca delle grandi piramidi. Questa lacuna venne colmata nei primi decenni del '900, grazie agli scavi archeologici condotti da Ernesto Schiaparelli e Giulio Farina, che fecero arrivare a Torino altri 18.000 oggetti.
Vennero ritrovate tombe a el-Giza, sculture delle prime dinastie, arredi intatti di tombe di ignoti dell'Antico Regno. Si trovarono anche i sarcofagi di Nefertari, moglie di Ramesse II, e la tomba intatta dell'architetto Kha e di sua moglie Merit.

Negli anni Sessanta la collezione crebbe ancora con il Tempio di Ellesjia, che venne donato dal governo egiziano all'Italia nel 1970, come ringraziamento per l'aiuto nel recupero dei templi nubiani minacciati dalla costruzione della diga di Assuan. Il tempio venne trasferito e fedelmente rimontato in un ambiente del Museo.


Secondo me le sale più monumentali del museo sono quelle dello statuario, che raccolgono le grandi statue delle divinità (molte raffigurazioni delle dee Bastet e Sekmet) e dei faraoni (bellissima la grande statua in basalto nero di Ramesse II).
L'allestimento attuale è stato ideato dallo scenografo premio Oscar Dante Ferretti, in occasione delle Olimpiadi invernali del 2006, svoltesi a Torino, il quale ha dato alle sale un'ambientazione buia molto suggestiva, con sapienti giochi di specchi.


Ma dopo le Olimpiadi è stato tutto il Museo Egizio ad essere oggetto di ristrutturazione. I cantieri sono andati avanti dal 2010 al 2015, per settori, senza mai chiudere il museo ai visitatori.

Il 1° aprile 2015 il nuovo Museo Egizio è stato presentato ufficialmente. Gli spazi espositivi sono stati ampliati, occupando anche i piani più alti del palazzo dell'Accademia delle Scienze (precedentemente occupati dalla Galleria Sabauda che è stata spostata), e le collezioni sono state ricollocate in senso cronologico.

Tutto il percorso di visita è stato impostato ex-novo: la biglietteria e il bookshop adesso si trovano al piano ipogeo (-1), insieme al settore dove viene illustrata tutta la storia del museo stesso. Si prende poi una moderna scala mobile - risalendo metaforicamente il fiume Nilo riprodotto su una parete laterale - per raggiungere il secondo piano, da dove ha inizio la visita.
Tutte le bacheche e le vetrine sono state riammodernate  e valorizzate al meglio, come spazi e come illuminazione.
I vecchi biglietti giallognoli con le scritte a macchina (che avevano un loro fascino retrò...) sono stati sostituiti da didascalie più ampie, in italiano e in inglese. Gli oggetti sono stati redistribuiti in modo radicale. Sono ora presenti postazioni multimediali di approfondimento.

Una curiosità: quando percorrete la Galleria dei Sarcofagi, alzate gli occhi verso il soffitto e osservate anche gli affreschi degli animali che fanno capolino dalle lunette in alto. Non hanno attinenza con l'Egitto, ma sono dipinti del vecchio museo di scienze che aveva sede nel palazzo nel '700, e che sono stati riscoperti dai lavori dei cantieri. Belli e delicati.


Il museo si è lanciato in un'intensa attività di promozione e comunicazione rivolta al grande pubblico. Anche Alberto Angela ha dedicato alla riapertura del museo la puntata-documentario "Una notte al museo", andata in onda su RaiUno.
Noi torinesi siamo molto fieri del nostro Museo Egizio, e siamo orgogliosi che venga scoperto ed apprezzato anche da un pubblico molto più ampio.

venerdì 2 ottobre 2015

le case cubo di rotterdam/2

Rotterdam è stata una città duramente colpita dai bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale. Buona parte del centro venne rasa al suolo, e nel dopoguerra si procedette lentamente alla sua ricostruzione.


Questo ha significato che nella seconda metà dello scorso secolo la città è stata un perfetto canovaccio sul quale diversi architetti si sono sbizzarriti. Uno degli aspetti che infatti colpiscono di più il visitatore, oltre all'enorme porto, è l'architettura estremamente moderna dei palazzoni del centro e dei ponti. E il lavoro di ricostruzione prosegue tutt'oggi costantemente, tanto che ritornando a Rotterdam dopo alcuni anni si viene accolti da nuove costruzioni avveniristiche.


In mezzo a tanti palazzoni e opere risaltano in modo particolare le originalissime case cubo di Piet Blom, realizzate negli anni Ottanta. Si affacciano sull'Oudehaven, un'ansa raccolta del vecchio porto in pieno centro, con il loro giallo intenso che le fa assomigliare a tanti favi di un alveare.
Questo complesso di edifici a cubo comprende abitazioni, alcuni negozi, aule di scuola, spazi di passaggio, e addirittura un ostello.

Una casa cubo in particolare è aperta al pubblico, e rappresenta una sorta di museo grazie alla quale si comprende meglio l'utilizzo degli spazi all'interno. La casa-cubo standard è ripartita su tre piani.
Il piano inferiore, dove si entra, rappresenta la zona soggiorno e in un angolo è collocata la cucina; al piano intermedio - quello più largo - c'è una camera da letto, uno spazio studio e un piccolo bagno; al piano superiore c'è un ulteriore spazio living (l'attico!).
Ovviamente in ciascun piano bisogna anche tenere conto dello spazio occupato dalla scala!



Senza visitare la casa-museo non si riesce a rendersi conto fino in fondo di quanto ogni centimetro cubico sia sfruttato a fini abitativi.
Non avrei mai pensato che fosse possibile recuperare tutto quello spazio al loro interno. E nemmeno che questi enormi cubi potessero essere davvero funzionali e ci si potesse realmente abitare, ma entrandoci ti rendi conto che invece è così.
Certo, bisogna farsi fare tutti i mobili su misura, non bisogna avere problemi di deambulazione (persone anziane, disabili o con bimbi piccoli non sarebbero esattamente gli inquilini ideali), ma per una persona "media" va bene.


lunedì 21 settembre 2015

lady chatterley's lover


Lessi per la prima volta "L'amante di Lady Chatterley" da ragazzina, immaginando di trovarvi dentro chissà quali indicibili perversioni, data l'aura di scandalo che il libro si portava dietro. Un libro che era stato addirittura vietato nei paesi di lingua inglese sino al 1960, per cui mi immaginavo che contenesse racconti pruriginosi e dettagliati.

Invece c'è la storia di un adulterio, quello sì, e anche di una relazione carnale, ma ciò che determinò la messa al bando del libro non fu tanto il sesso in sé, quanto il superamento dei limiti tabù fra le classi sociali. L'amante della lady non era un esponente della upper class (nel qual caso non ci sarebbe stato particolare scandalo, alla fine...), quanto un guardiacaccia, un servo, un uomo appartenente alla working class, di un ceto inferiore. Una relazione "rivoluzionaria", fonte di instabilità per il sistema precostituito.


Questa nuova trasposizione televisiva della BBC condensa il libro in un'ora e mezza. Mi è piaciuta, e in alcuni passaggi l'ho trovata intensa e delicata, cosa che non mi sarei aspettata, poiché alquanto differente rispetto alle atmosfere del libro, che invece mi ricordavo più primordiale e sanguigno.
Per intenderci, in questo film tv John Thomas è appena accennato, e Lady Jane nemmeno menzionata... ma se ricordo abbastanza bene questi "appellativi" a distanza di oltre vent'anni dalla lettura, significa che invece nel libro erano menzionati spesso e volentieri.

Il film tv è piuttosto tranquillo anche visivamente: niente scene di nudo, soltanto qualche immagine del guardiacaccia senza camicia per accontentare le fan di Richard Madden (che interpreta Mellors).

Il finale del film è confezionato ad hoc con un bel lieto fine, con Mellors e Connie che se vanno sull'automobile (di chi? di lei?) dopo che Clifford ha acconsentito a concederle il divorzio. Ma il libro finiva in maniera molto più aperta, con un divorzio che non si sa se verrà concesso, molto meno happy-end.


P.S. E non mi ero nemmeno accorta che l'attrice che interpreta Connie avesse ricoperto, poco tempo fa, anche il ruolo di una delle due sorellastre in Cenerentola, sempre con Richard Madden.

Edit del 6 novembre 2015:
La versione italiana andrà in onda il 18 novembre, alle 21, su Laeffe.

lunedì 14 settembre 2015

un giro nel père lachaise

Già in due occasioni ho visitato il cimitero del Père Lachaise, a Parigi.
La primissima volta, diversi anni fa, si era più giovincelli, e la maggior parte del gruppetto di amici con cui mi trovavo era interessato soprattutto a vedere la tomba di Jim Morrison. Quella volta abbiamo fatto una visita relativamente veloce, in un'area abbastanza circoscritta.



La seconda volta è stata diversi anni dopo, insieme a una cugina con interessi altrettanto "crepuscolari", e in quell'occasione ci abbiamo trascorso almeno 3-4 ore, girandolo praticamente tutto, soffermandoci sui monumenti e andando alla ricerca delle tombe dei personaggi famosi.
Eh sì, perché il Père Lachaise è davvero ricco di monumenti e di storie. Storie di personaggi celebri, ma anche di persone comuni.

Il cimitero venne creato al principio del 1800, e a quell'epoca non si trovava ancora all'interno della città (ricordate l'editto di Saint-Cloud, di foscoliana memoria, che imponeva che i cimiteri si trovassero fuori dai confini dei paesi?). Peccato che all'inizio nessuno ci teneva particolarmente a farsi seppellire nel nuovo cimitero, per cui la municipalità decise di traslarvi le spoglie (o almeno quelle che si ritenevano essere tali) di Molière, di La Fontaine, e di Abelardo ed Eloisa (chissà di loro cosa era rimasto, dopo secoli)...
Questa "campagna di testimonial" funzionò, e nel giro di poco tempo il Père Lachaise ottenne numerose sepolture.

Una fra le tombe più visitate e belle, ricca di mazzi di fiori portati giornalmente, è quella di Chopin.
Quella che cercano tutti coloro che ti fermano chiedendo informazioni è quella di Jim Morrison (che però io ho trovato deludente e sacrificata in un angolino stretto e scomodo).


Sulla scia della narrazione di Augias ne I segreti di Parigi io mi sono messa alla ricerca del monumento funebre di Victor Noir, che in effetti ha un suo fascino.


Mi sono poi imbattuta per caso in una tomba che ha reso concreto un brutto fatto di cronaca successo non molto tempo prima della mia visita: quella di Marie Trintignant, uccisa dal suo compagno, il cantante dei Noir Desir.
Mi ha anche stupito la presenza di tante lapidi cinesi, recenti, segno che la comunità cinese è piuttosto numerosa.
E poi non mi aspettavo che la tomba di Oscar Wilde fosse così grande, pacchiana, sporca e piena di chewing-gum appicicati.

Una passeggiata nel Père Lachaise procura emozioni.
Sia che si creda nella vita dopo la morte, oppure soltanto nell'immortalità dell'arte e della storia, questo è il posto giusto in cui trascorrere qualche ora, nella quiete di una vera e propria città nella città.