lunedì 27 luglio 2015

conta le stelle se puoi

“..ed il Signore disse ad Abramo guarda il cielo e conta le stelle , se puoi contarle… aggiunse, così numerosa sarà la tua stirpe..”

Moise Levi ha solo ventitre anni la mattina d'estate di fine Ottocento in cui lascia Fossano portandosi dietro un carretto di stracci. Vuole andare a Torino a far fortuna, e non può immaginare che quello sia solo l'inizio di una lunga storia.
Perché Moise possiede un fiuto eccezionale per gli affari e per i sentimenti: darà il via a una florida ditta di commerci nel ramo tessile, e avrà due mogli, sei figli e un'infinità di nipoti.
Dopo la grande guerra mondiale e quel «brutto spettacolo» della marcia su Roma, finalmente la vita di tutti ha ripreso il suo corso. Meno male che nel 1924 a quel «brutto muso di Mussolino» gli è preso un colpo secco, altrimenti la storia di nonno Moise e della sua discendenza sarebbe stata molto diversa. Invece la famiglia Levi - con i suoi amori e i suoi affanni, i suoi commerci e le sue tribolazioni, le grandi cene di Pasqua e i lunghi silenzi delle stanze chiuse - diventa sempre piú numerosa nella casa di via Maria Vittoria, costruita proprio lì dove una volta c'era il ghetto e adesso non c'è piú.

Cosa mi ha portato a leggere questo libro? La curiosità derivante dal fatto di lavorare io stessa vicino ai luoghi in cui viveva la famiglia in esso narrata, la voglia di conoscere le atmosfere di questa strada 100-150 anni fa. E man mano che si legge viene sviluppata una saga familiare...

Ma a un certo punto mi sono sentita spaesata: Mussolini non è davvero morto per uno sciùpun nel 1924, e il suffragio universale anche alle donne non è mica stato dato ad inizio secolo.
Che cosa sta succedendo?  Eh, forse è un espediente narrativo dell'autrice - non posso essermi completamente rincitrullita con la storia - ma per averne la certezza ho dovuto cercare conferma su Internet, e interpretare meglio l'avvertimento che era già scritto sulla quarta di copertina, ma al quale io non avevo prestato troppa attenzione. E' stata un'esplicita scelta della Loewenthal, per non dover parlare della Shoah e delle persecuzioni razziali verso gli ebrei, ma io lettrice mi sono sentita presa in giro, è venuto meno il patto di fiducia che pensavo di aver instaurato col libro a cui avevo deciso di dedicare del tempo.

L'ho capito tardi, quando mi mancavano pochi capitoli, e a quel punto sono arrivata alla fine del libro, ma se ne fossi stata consapevole prima non penso proprio che l'avrei terminato.
Sono rimasta con il dubbio di cosa sia veramente successo alle varie figlie/figli/nipoti di nonno Moise, e a lui stesso, dato che la storia raccontata nelle pagine può tranquillamente essere di fantasia. Ma io che leggo non so che cosa sia vero, e che cosa sia invece fantasia.
E non ho nemmeno capito in quali termini la Loewenthal si collochi rispetto a tutto l'albero genealogico (immagino anch'esso suscettibile di essere in parte "finto"), visto che ad inizio libro avevo capito che si trattasse della storia della sua famiglia.

venerdì 24 luglio 2015

cenerentola il film

Cinderella (2015)
Regia: Kenneth Branagh

E' normale che anche avendo varcato (e non da ieri) la soglia degli "anta" mi sia trovata a godermi questo film come se fossi stata una bimba davanti a un negozio di caramelle? Potenza delle fiabe, o - meglio - della maniera magistrale in cui Kenneth Branagh, nelle vesti di regista, ha trasposto questa versione in carne ed ossa della celeberrima storia di Perrault (prima) e di Disney (dopo).

In effetti molti degli aspetti visivi di questo film ricalcavano il cartone Disney. Confesso che io ho visto per la prima volta il cartone disneyano soltanto quando ero già cresciuta, ma da piccolina possedevo un libro Disney pieno di illustrazioni, con la storia di Cenerentola narrata come veniva sviluppata nel cartone, per cui ho finito per conoscerne le scene piuttosto bene. Il libro lo conservo tuttora gelosamente.

Tornando al film, superato un attimo di disorientamento in cui mi sembrava di essere finita dentro Downton Abbey (sia Lily Rose/Cinderella che Sophie McShea/sorellastra recitano nella serie inglese) e il mini-shock nel ri-digerire il sempre amato (e pianto) King in the North Richard Madden nei panni del principe azzurro Kit - ma sto guardando un film o le mie solite serie tv? - me lo sono davvero goduto senza ritegno.

Belle le scenografie, che hanno dato corpo e vita a quanto mi ero raffigurata per tutta un'infanzia di letture; fantastici i costumi, ricchi e colorati; e meravigliosi e stra-riusciti gli effetti speciali, soprattutto nella scena della trasformazione della carrozza e dei suoi palafrenieri, prima e dopo la mezzanotte.

Ma quello che forse mi è piaciuto di più, vista la mia età, è stata la resa dei personaggi, per niente superficiale, come sarebbe potuta essere in una semplice fiaba (anche se poi non è per niente vero che le fiabe sono semplici).




martedì 14 luglio 2015

the scottish prisoner

I lettori della saga Outlander di Diana Gabaldon troveranno una parentesi di estremo interesse anche in "The Scottish prisoner", che non fa propriamente parte della serie, ma viene di solito inserito nella lista dei libri dedicati a Lord John Grey.
In effetti la figura in primo piano è  Lord John, ma in questo titolo è co-protagonista a tutti gli effetti Jamie Fraser. E se siete lettori di Outlander non credo vi serva altro per spingervi alla lettura.

Cronologicamente, le vicende si svolgono nel 1760 (all'incirca da aprile a fine ottobre), verso la metà di "Voyager" ("Il cerchio di pietre" se fate riferimento alle edizioni italiane), quando Jamie vive a Helwater, come stalliere presso i Dunsany, sotto la responsabilità di Lord John. Il piccolo William è già nato, e ha circa un paio d'anni.

Per Jamie Fraser, rilasciato sulla parola nel remoto Lake District, la vita potrebbe anche andare peggio: non è stato esiliato nelle colonie occidentali a tagliare canna da zucchero, ed è abbastanza vicino al figlio che non può rivendicare come proprio. Ma la sua tranquilla esistenza sta per essere agitata, interrotta prima dai sogni della moglie perduta, Claire, poi dalla comparsa di Tobias Quinn, un irlandese ex-compagno delle sollevazioni giacobite.

Come molti giacobiti sopravvissuti, e non imprigionati, Quinn è ancora dedito alla Causa. Il suo ultimo piano riguarda un'antica reliquia che sarà in grado di radunare gli irlandesi.
Jamie non vuole più averci nulla a che fare - ha giurato di lasciar perdere la politica, la lotta e la guerra. Sino a quando Lord John Grey spunta con una richiesta che lo porterà di nuovo lontano da tutto ciò che ama.

Lord John - aristocratico, soldato e spia occasionale - si ritrova in possesso di un pacchetto di documenti esplosivi che denunciano  un caso schiacciante di corruzione nei confronti di un ufficiale britannico. Ma alludono anche a un pericolo più insidioso. Il tempo è essenziale, man mano che l'indagine spinge Lord John verso l'Irlanda, con uno sconcertante messaggio in versi scritto in "Erse", la lingua degli Highlanders scozzesi. Lord John, che ha gestito dei prigionieri giacobiti quando era governatore del carcere di Ardsmuir, e il duca Hal, suo fratello, pensano che Jamie potrebbe essere in grado di tradurre - ma lui accetterà di farlo?

Presto Lord John e Jamie diventano compagni di indagine sulla strada per l'Irlanda, un paese i cui castelli nascondono segreti, e le cui paludi nascondono le ossa dei morti.

Un ritorno accattivante al mondo creato da Diana Gabaldon, un'altra storia epica che consiglio di procurarsi a tutti gli appassionati di Outlander.
(p.s. Nel momento in cui scrivo non mi risulta che il libro sia mai stato tradotto in italiano.)

giovedì 9 luglio 2015

gli stemmi delle case praghesi

Camminare con il naso per aria nella Città Vecchia di Praga permette di imbattersi, praticamente ad ogni portone, in deliziose (e spesso curiose) decorazioni. Sul frontone di ogni vecchia casa ci sono infatti stemmi, decorazioni e bassorilievi che in passato servivano anche per identificare le varie abitazioni. Soprattutto la Via Nerudova, che sale al vecchio castello, ne è ricchissima.



Il sistema di numerazione civico praghese è passato attraverso vari mutamenti, tanto che ancora oggi la maggior parte degli edifici vecchi mantiene due numeri.
Uno è su placca blu, e rappresenta la numerazione moderna, sequenziale lungo la strada, con i pari da una parte e i dispari dall'altra, come siamo abituati ad usare anche noi. L'altro è su fondo rosso, e indica invece la posizione della casa rispetto al vecchio sistema di numerazione, introdotto a metà Settecento, e di solito non ha alcun collegamento con gli edifici immediatamente vicini.

Ma prima del Settecento la numerazione civica non esisteva proprio, per cui non stupisce che l'individuazione di un edificio avvenisse in maniera "empirica", usando dei riferimenti visivi chiari a tutti.
Spesso si indicavano le case con simboli che avevano attinenza con la professione di chi vi abitava, oppure con qualcosa di naturale o di religioso.
E così, ecco ad esempio, la casa dei tre violini, del calice d'oro, del grappolo d'uva, delle tre rose bianche, al luccio blu, della ruota d'oro e innumerevoli altre... basta avere il tempo di soffermarsi per notare i particolari.